Fulvio Collovati ricorda il “Vecio”

Fulvio Collovati, campione del mondo nel 1982 con la Nazionale di Enzo Bearzot. Vittoria memorabile, non solo per i componenti di quella squadra. Percepita da tutti gli italiani come segnale di riscossa all’uscita da un decennio tremendo che aveva scosso le fondamenta del nostro Paese. Fautore di quella vittoria, il “Vecio”. Così lo ricorda l’ex stopper di Milan e Inter: “Mi ha fatto esordire in Nazionale, ha creduto in me in un periodo nel quale i bravi difensori non mancavano. Qualcuno ha malignato che la sua scelta fosse dovuta al fatto che fossimo entrambi friulani. Ma proprio perché friulano era molto esigente

Bearzot, uomo di altri tempi che si spendeva per la squadra

Uomo tutto d’un pezzo, il "Vecio". “Si spendeva per la squadra, la difendeva ad ogni costo indipendentemente da ogni errore. Sarebbe andato contro i mulini a vento per difendere il suo gruppo, non potevamo che ricambiarlo con il nostro impegno dentro e fuori dal campo. Per lui abbiamo combattuto, quella vittoria ai Mondiali 82 la dobbiamo a lui” Una vittoria sofferta, quella dei Mondiali di Spagna. Una squadra partita tra mille polemiche, il ct oggetto di ferocissime accuse da parte della stampa specializzata.

Stampa, l’omologazione ha preso il sopravvento

La stampa di allora non le mandava a dire ed Enzo Bearzot non si tirava indietro. Memorabile una sua litigata con Lino Cascioli del Messaggero, quasi andarono alle mani. E’ pur vero che la stampa di allora sapeva essere anche offensiva e cattiva, a fronte però di un rapporto senz’altro più vero. Gli editoriali dei giornali sportivi portavano le firme di Gianni Mura, Giorgio Tosatti, Gianni Brera. Quest’ultimo era capace di dare bruttissimi voti in pagella ad un fenomeno come Gianni Rivera. Oggi, se Leao gioca male, tutt’al più scrivono che è stata una giornata storta

Il cubetto di porfido

Critiche feroci potevano arrivare anche dai tifosi. Nella stagione calcistica 1981/82 il Milan retrocede in Serie B a causa dello scandalo del calcio scommesse, Nel corso di una partita, durante una rimessa laterale, Fulvio Collovati viene colpito in testa da un cubetto di porfido lanciato dagli spalti. "Ritenuto responsabile di fatti dei quali non avevo colpa, non mi vennero riconosciuti i miei dodici anni al Milan. Fu ignorata la mia scelta di accettare la retrocessione per amore della maglia e l’impegno di giocare in Nazionale e in campionato senza pause. Una brutta ferita, ben oltre i cinque punti di sutura

Quando i trasferimenti erano scelte di vita

Inevitabile confrontarsi con l’ex nazionale sul suo passaggio dal Milan all’Inter. “Al Milan dovevo molto ma l’episodio del cubetto aveva cambiato le cose. Ricevetti alla cabina telefonica una telefonata di Sandro Mazzola che mi voleva portare all’Inter. Dopo una notte insonne per l’imbarazzo di dover disdire gli impegni verbali già assunti con Flavio Pontello per un trasferimento alla Fiorentina, accettai. Avrei preso molto meno, ma Milano era ormai la mia città. Prima della partenza per i Mondiali, come imponeva il regolamento di allora per i giocatori della Nazionale, firmai il contratto"

Capitano, ruolo che ha perso spessore

Di quel Milan, Fulvio Collovati era il capitano. Capace di relazionarsi dentro e fuori dal campo. “La figura del capitano ha perso spessore, a volte nelle partite odierne si fa fatica a riconoscerlo. Una volta il capitano era il leader, la persona carismatica alla quale ti appoggiavi nei momenti di difficoltà. Era colui che sapeva pronunciare una frase di incoraggiamento o darti una pacca sulla spalla. Sapeva rapportarsi con l’arbitro, in sala stampa era l’unico della squadra delegato a parlare. Forse con Xavier Zanetti ne abbiamo avuto l’ultimo esempio

Arbitri, la tecnologia ha sostituito l’autorevolezza

Argomento spinoso, quello dell’arbitro. L’autorevolezza degli arbitri odierni è un dibattito che spesso accende opinionisti e addetti di settore. “La tecnologia ha senza dubbio fatto perdere potere agli arbitri, oggi dalla tecnologia sono condizionati. Dobbiamo però ammettere che anni fa scendevano in campo arbitri della personalità di Concetto Lo Bello, Luigi Agnolin, Alberto Michelotti e Paolo Casarin. Sapevano farsi rispettare, li temevi ogni volta che portavano il fischietto alla bocca. Oggi è tutta un’altra storia, ad ogni decisione dell’arbitro non c’è giocatore che non si senta autorizzato a contestare

Giocatori, manca l’imprinting delle società

E’ anche vero che un tempo i giocatori crescevano nelle società, dalle quali ricevevano un preciso indirizzamento. “I miei genitori abitavano in Friuli, li vedevo una volta al mese. Per tre anni ho frequentato il collegio di Milanello, in stanza con me c’era Franco Baresi. Alla mattina andavo a scuola a Milano, in zona Varesine dove oggi c’è il bosco verticale. Tornato da scuola, l’allenamento. Alla sera a letto presto, senza distrazioni. Una rigida osservanza di regole e comportamenti che mi hanno permesso di crescere anche come uomo. Se non le rispettavi, ti cacciavano via. Pur se eri una promessa”

Presidenti, da innamorati del calcio a investitori alla ricerca del business

A trasmettere quelle regole, presidenti ed allenatori. “Quando giocavo le società avevano una gestione familiare, Milan e Inter oggi sono proprietà di fondi di investimento. I Presidenti erano imprenditori che investivano sulle società di tasca loro per la pura passione del calcio, spesso perdendoci. Oggi gli unici mossi da questo spirito sono Claudio Lotito e Aurelio De Laurentis, ma sicuramente non ci perdono. Tant’è che De Laurentis sta già pensando di vendere Osimhen per fare cassa. Il business prima di ogni cosa

Allenatori, il lavoro non si esauriva con l’allenamento

Di allenatori Fulvio Collovati ne ha incontrati tanti. “Vorrei menzionarli tutti, ma senza dubbio a Pippo Marchioro. allenatore innovativo, devo riconoscere il coraggio di avermi fatto esordire a San Siro all’età di 18 anni. Nils Liedholm mi ha forgiato tecnicamente, spendeva tempo con i giocatori anche dopo l’allenamento. Era lui ad allenare i portieri, finito l’allenamento si fermava con me, Baresi e Tassotti a tirare calci. Osvaldo Bagnoli, uomo di altri tempi, lavorava sulla tattica. Con lui siamo andati in semifinale di Coppa Uefa, il Genoa è stata la prima squadra italiana ad eliminare il Liverpool trentadue anni fa. All'indimenticabile Enzo Bearzot riconosco integrità e coerenza nelle scelte

Questione San Siro, Wembley e Bernabeu possono essere l’esempio

Milan-Verona 2-1, stagione calcistica 1976-77. L'esordio di Fulvio Collovati in Serie A. “Ho esordito nella stessa settimana nella quale mancava Nereo Rocco” Sempre a San Siro esordisce con la maglia della nazionale, il 24 febbraio 1979. Amichevole Italia-Olanda 3-0. “Marcavo il capocannoniere del campionato olandese e scarpa d’oro Kees Kist” Così si esprime sul futuro dello stadio milanese. “A San Siro ho fatto prima il raccattapalle, poi vi ho giocato con le maglie di Milan e Inter. Uno stadio meraviglioso che rappresenta una città, non merita di essere demolito. Lo si potrebbe ristrutturare, sull’esempio di Wembley e Bernabeu

Nazionale, crisi di talenti

Un ultimo pensiero va alla Nazionale, per tornare da dove siamo partiti. “Mancano talenti capaci di fare la differenza, la carenza di difensori ed attaccanti è l’inevitabile conseguenza di rose di giocatori inflazionate di giocatori stranieri. Se scorriamo la lista degli attaccanti di Milan, Inter e Juventus non troviamo un italiano, la classifica marcatori è egemonizzata da giocatori stranieri. Ma Luciano Spalletti è bravo, al prossimo Campionato Europeo potrebbe condurci tra le prime otto classificate. Serve però tornare ad investire sui vivai, unico strumento per ridare linfa vitale alla Nazionale” Succederà?