Ai microfoni di VBTV, la piattaforma ufficiale di streaming live Over-The-Top (OTT) di Volleyball World(Vb.tv.), parla il pallavolista Simone Anzani, centrale della Lube Civitanova e veterano della Italvolley, la Nazionale maschile di pallavolo. 

Negli ultimi anni, la vita di Simone Anzani è stata un mix di successi sportivi e momenti cruciali della sua vita privata. Dalla gioia di diventare padre poco prima della vittoria agli Europei del 2021, al duro colpo del lutto famigliare durante il Mondiale in Polonia nel 2022, fino alla battuta d'arresto dello scorso anno, quando seri problemi cardiaci lo hanno costretto a rinunciare all’intera stagione con la Nazionale. 

 «La questione delle tachicardie è iniziata dopo la tappa di VNL a Rotterdam, con la Nazionale – racconta Simone -. Siamo tornati in Italia il lunedì e come da prassi, una volta a Roma, siamo stati sottoposti a una serie di visite mediche specifiche al CONI. Novantanove volte su cento le visite si rivelano tranquillissime, con nulla da segnalare; invece, durate la mia prova sotto sforzo, i medici hanno registrato un episodio di tachicardia. Personalmente, non le ho mai avvertite giocando, ma gli strumenti non mentivano».

«All’inizio lo staff medico pensava potesse essere qualcosa di molto grave, a livello ventricolare – continua -. Mi hanno fermato subito, hanno proseguito con esami strumentali, come uno studio elettrofisiologico; poi hanno deciso di compiere un primo intervento. Successivamente abbiamo provato con una cura di farmaci. Speravamo che potesse bastare invece, dopo venti giorni, durante un nuovo controllo sotto sforzo, ho avuto un episodio ancora più brutto. È stato molto difficile mentalmente: non sapevo nemmeno se sarei mai più potuto tornare a giocare».

«Ho dovuto subire un secondo intervento al San Raffaele di Milano: è durato cinque ore e mezza, mi hanno rivoltato come un calzino, ma sono stati eccezionali. Hanno individuato due focolai sopraventricolari da cui partivano le tachicardie. Dopo la seconda operazione ho atteso un altro paio di settimane, ho rifatto la prova sotto sforzo e tutto è andato liscio. Pian piano sono tornato ad allenarmi, ho ripreso il mio cammino; ora sono ormai passati sette mesi dall’operazione e non ci sono più stati episodi».

Su come stia oggi: «Mi sento bene – risponde sollevato Simone Anzani -. Dopo le vicissitudini estive, ho ripreso con gradualità a entrare in campo, a ritrovare il ritmo di gioco, a livello sia fisico che tecnico. Mi sento pienamente recuperato, ma è comunque un processo lento. Dopo tanti mesi che sei fuori dal campo, fuori dalle rotazioni di squadra, è sempre necessario un certo periodo di ambientamento. Alla prima partita da titolare, l’andata contro Catania, a parte l’emozione dopo la sofferenza di quest’estate, mi sentivo come alle prime armi; come essere all’esordio. Credo che ad affrontare la situazione mi abbia aiutato nel complesso anche il mio modo di fare: cercare di esser sempre positivo, solare, anche nei momenti di difficoltà».

C’è una grande novità oggi a casa Anzani. Simone e Carolina avranno un secondo figlio!

«Dopo mesi orribili, è stata la notizia più bella che potessi ricevere: diventeremo genitori per la seconda volta! Alla fine noi papà in verità non facciamo niente, siamo solo di supporto».

La vicenda della nascita della prima bimba, nell’estate 2021, era stata avventurosa. «Decisamente avventurosa – racconta col sorriso -. Era l’estate delle Olimpiadi di Tokyo ed eravamo appena usciti dal periodo Covid. L’allenatore aveva deciso di non mandarci in bolla a Rimini per la VNL; partecipò solo una squadra di giovanissimi. Io ero a Roma ad allenarmi con la formazione che sarebbe poi volata alle Olimpiadi e, una mattina, Carolina mi ha chiamato per dirmi che la bimba stava nascendo; ho preso la macchina e sono volato a Verona. Ho avuto tempo di vederla appena 4-5 giorni quando è nata, poi sono tornato a Roma per dieci giorni di allenamento; infine siamo partiti per Tokyo, stando via per tre settimane. È stata un’estate complicata: la distanza era tanta e il non poter star vicino alla bambina, alla mia ex fidanzata (e attuale moglie) pur vedendola magari stanca, non è stato facile. Per fortuna la presenza di tutta la famiglia ha aiutato».

«Una volta rientrati da Tokyo, anche piuttosto delusi per il risultato, Fefé De Giorgi (che stava subentrando a Blengini sulla panchina della Nazionale) mi ha chiesto di prender parte anche all’Europeo. Mi ha anticipato che sarebbe stata una squadra del tutto nuova, giovanissima, ma che mi voleva con lui, come esempio per i tanti esordienti. Ammetto che ci ho dovuto pensare un po’, perché voleva dire allontanarsi di nuovo da Carolina e dalla bimba appena nata… ma con Fefé ho instaurato negli anni alla Lube un rapporto che andava oltre l’aspetto tecnico; quando un allenatore a cui tieni ti affida questa responsabilità, di essere una sorta di vice Capitano, è davvero difficile dire di no. Pensandoci oggi, a posteriori, se avessi deciso di non andare mi sarei perso davvero una grandissima avventura».

L’Italvolley quell’estate vinse a sorpresa l’Europeo, che mancava dal 2005. Poi l’anno dopo riuscì a ripetersi ancora più in grande, conquistando il titolo Mondiale in casa della Polonia, i campioni in carica.

«Lo scorso settembre, quando non potevo giocare per via delle tachicardie, sono andato a vedere i ragazzi dell’Italvolley in una partita dell’Europeo – racconta -. Quando è caduto l’ultimo pallone, sono corsi ad abbracciarmi a bordo campo. Credo sia stato un bellissimo gesto: ti fa rendere conto di aver lasciato il segno, sotto l’aspetto morale e della costruzione di un gruppo. Credo che il connubio tra me e Simone Giannelli sia stato importante: siamo, in un certo senso, i “reduci” di un gruppo precedente; lui è entrato a far parte della Nazionale nel 2013, io nel 2015. Sono dieci anni che condividiamo i percorsi, sia belli che brutti, e anche se spesso non sono arrivati i risultati sperati, ci hanno sempre lasciato qualcosa. Ora abbiamo un rapporto speciale, ci capiamo con uno sguardo. Penso sia stato utile nel tirare fuori il meglio dai più giovani».

Tu che hai vissuto un po’ tutto il percorso della Nazionale maschile, sia prima che dopo il grande ricambio generazionale, cosa credi sia cambiato? Cosa pensi sia mancato prima, che non ci ha permesso di raggiungere grandi obiettivi?

«Ogni squadra ha una storia a sé – risponde Simone Anzani -. Inizierei col dire che il ciclo precedente per poco non vinse l’oro olimpico; pochi punti da una parte o dall’altra, e oggi ne parleremmo in una luce completamente diversa. E persino l’argento a quelle Olimpiadi di Rio, se vogliamo, è da considerare una grande impresa. Poi purtroppo sono arrivati anni più difficili, senza risultati: un Mondiale in Italia toppato, in cui abbiamo mancato l’accesso alla Final 4, e lo stesso l’Europeo l’anno dopo, pur ottenendo la Qualificazione olimpica».

«Quello che credo abbia reso speciale il nuovo gruppo è che sia stato plasmato da zero, con pochissimi innesti dal vecchio ciclo. Certamente avevano avuto anche influenze: ad esempio Alessandro Michieletto aveva giocato titolare anche a Tokyo, e Daniele Lavia era presente a quella spedizione, ma questo gruppo ha avuto l’occasione di iniziare tutto da capo. Questo vuol dire che non c’è mai stata l’idea che qualcuno potesse prevalere: abbiamo sempre cercato di creare un ambiente in cui il collettivo potesse valere più del singolo. Anche il nostro urlo, “Noi Italia”, è il simbolo di una squadra, quasi di una famiglia, che si è davvero divertita a stare insieme. Poi ovviamente, come in ogni vittoria, si sono dovute incastrare tante cose; ma la forza del gruppo ci ha permesso di andare oltre momenti difficili. Ad esempio il doppio 3 a 0 subito alla Final 4 di VNL a Bologna, prima di affrontare, e vincere, il Mondiale in Polonia».